Qube: Trio [2011]

"Trio" è l'ultimo lavoro della band fiorentina, arrivato a più di due anni di distanza dal suo predecessore "Duo", di cui abbiamo già avuto modo di discutere in questa sede. Due anni di travagli e prove, in  cui sono state rodate live la maggior parte delle tracce del neonato disco e in cui una delle colonne che reggevano il sound peculiare del gruppo, il  batterista Emanuele Fiordellisi, ha lasciato gli storici compagni di  scorribande e travestimenti sul palco. Si può quindi facilmente immaginare la difficoltà che possono essere sopraggiunte nella lavorazione delle melodie e nel finale parto del nuovo bambino della ridotta famiglia qubica. Difficoltà e problemi che però non hanno spaventato i restanti membri i quali, forti comunque dell'esperienza musicale acquisita negli anni e di un sodalizio umano che va oltre le mere note, sono riusciti laddove chiunque altro avrebbe potuto cedere.  "Trio" è il degno premio che la band si è meritatamente conquistato, un'opera di riscatto come pochi avrebbero potuto sperare. Il compito di sostituire 'Manu', quello che secondo molti è uno dei migliori batteristi che la Firenze underground abbia mai avuto il piacere di ascoltare, spetta al chitarrista Francesco Perissi. E qui gli scettici avrebbero già voltato le spalle alla nuova formazione. Il sound della band però non si perde, ma al contrario, si perfeziona: con ritmiche più elementari di quelle del suo predecessore, la batteria instaura con gli altri elementi un tappeto sonoro ossessivo/percussivo che non lascia rimpiangere le cavalcate sulle pelli di "Duo". Naresh Ruotolo (voce) e Giuseppe Catalanalotto  (basso) accettano la sfida impostagli e con la nuova line up forgiano un suono che sembra mantenere lo stile dei passati lavori, ma che in realtà risulta completamente rinnovato e molto più seducente. Tra estesi drones elettronici e voci riverberate  nasce un nuovo modo di intendere la musica dei Qube: mentre prima il più facile riferimento era agli "aenimosi" Tool, adesso la band fiorentina sembra finalmente aver trovato una propria identità sonora, serpeggiando tra tessuti psichedelici e lampi di psy trance, tra fenomeni ambient e pacche sulla spalla a Scott Kelly. A poco serve parlare delle tracce nel particolare, poiché come è giustamente segnalato all'interno della cover, il nuovo disco dei Qube è un viaggio che va (giustamente) ascoltato tutto dall'inizio alla fine. Un viaggio che ha portato i tre musicisti sulle sponde di un nuovo modo di dar voce alle proprie emozioni e note, con sperimenti linguistici in italiano (solitamente la band adopera il cantato in inglese),  melodie in acustico e liriche che risvegliano le atmosfere da spazio profondo in cui domina la matrice post hardcore che ha dato i natali al paesaggio sonoro della band. Un ottimo lavoro, un viaggio oscuro e a tratti selvaggio, ma comunque sempre sensuale, che lascia poco spazio al caso e tanto spazio al talento.
Stai tranquillo Manu, i Qube non sono mai stati così in forma.

Recensione a cura di:
Tommaso Fantoni

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